Durante la fiera annuale Appliance & Electronics World Expo 2015 tenutasi a Shanghai nei giorni 11-14 Marzo, abbiamo assistito alla presentazione del primo climatizzatore al mondo la cui scocca è totalmente stampata in 3D. Il modello esposto a Shanghai, il primo ed al momento anche l'unico, è stato realizzato da Haier Group, multinazionale cinese specializzata nella produzione di elettrodomestici e dispositivi elettronici, con l'ausilio di un team di designers italiani, Co-de-iT.
Non è la prima volta che un'impresa cinese attira l'attenzione dei media internazionali mediante applicazioni della stampa 3D fuori dall'ordinario così, analogamente al celebre caso delle 10 abitazioni stampate (parzialmente) in 24 ore, la notizia di un climatizzatore stampato in in 3D ha avuto risonanza mondiale. Le ragioni che rendono questo prodotto così speciale sono imputabili principalmente all'aspetto estetico e funzionale del dispositivo: per la prima volta in quest'ambito, l'acquirente può customizzare il proprio climatizzatore adattandone il design alle proprie esigenze. Come dichiara l'azienda nel comunicato stampa ufficiale:
“Building the object layer by layer, 3D printing allows unprecedented user customizaton. Every user can parametrically adjust their own model, depending on his/her taste and requirements. Each model is a unique piece.”
Ogni pezzo della scocca del climatizzatore è stampabile on demand, l'acquirente può personalizzare anche la posizione del display LCD indicante la temperatura e nei modelli futuri verranno installate anche delle PCB sempre rigorosamente stampate in 3D.
Il fatto che la progettazione di un dispositivo di questo tipo, pensato per reinterpretare il rapporto produttore-consumatore, abbia goduto della partecipazione di un team di designer italiani rappresenta per noi motivo di grande orgoglio. Per questo abbiamo incontrato ed intervistato Alessio Erioli, uno dei progettisti di un team composto da Tommaso Casucci, Alberto Casarotto, Mirko Daneluzzo con la collaborazione di Mirco Bianchini, che ringraziamo per la disponibilità e la collaborazione.
Cos'è Co-de-iT e chi sono i suoi membri?
Co-de-iT è nato nel 2009 come un ‘hub’ (traducibile come fulcro, perno o centro, per noi un punto di aggregazione, articolazione e passaggio) in cui convogliare gli interessi dei fondatori (Andrea Graziano, Davide Del Giudice ed io) per computazione, architettura, progetto e contaminazioni con discipline di ricerca. Attualmente è strutturato come una rete di ‘clusters’ eterogenei accomunati dall’interesse inerente l’impatto della computazione come mezzo di design nelle discipline creative, attingendo spesso da discipline come la biologia e la tecnologia. Questa strutturazione permette la coalescenza dei membri interessati e collaboratori esterni in team multidisciplinari per esplorazioni tematiche che uniscono la ricerca, la sperimentazione, l’educazione e le attività di networking in un unico flusso di lavoro. Per questo progetto il team di lavoro era composto (oltre a me stesso) da Tommaso Casucci, Alberto Casarotto, Mirko Daneluzzo con la collaborazione di Mirco Bianchini.
In passato avete sviluppato altri progetti legati ad un uso non convenzionale delle tecnologie di prototipazione rapida?
Abbiamo un intero filone di ricerca dedicato ad ‘informing matter’, ovvero come poter ‘in-formare’ (che ha il duplice significato di informazione e dare forma) la materia. Lo scopo è andare oltre allo stato attuale - che permette principalmente (e quasi esclusivamente salvo alcune eccezioni) di posizionare unità di materia in coordinate precise nello spazio euclideo - e poter programmare e mappare caratteristiche quali resistenza, traslucenza, flessibilità. Al momento abbiamo sviluppato diversi progetti, tutti accomunati dal fatto di considerare la fase di prototipazione come un ulteriore parte del processo di design, mirata non a riprodurre copie esatte di quanto si può avere in un modello digitale ma cercando di incorporare e sfruttare le caratteristiche di autoorganizzazione e capacità di produzione di forma del materiale:
bio-logic workshop per questo workshop organizzato assieme a due bio-artists (Maurizio Montalti e Sonja Bauemel) è stato sviluppato in collaborazione con WASP un estrusore ad hoc per materiali fluido-densi al fine di studiare le proprietà di auto-organizzazione del Physarium polycephalum in presenza di un terreno di coltura generato da logiche agent-based e poi stampato con la PowerWasp. L’intento era di confrontare due forme di intelligenza di sciame, una biologica e una controllata dal codice, e capire se e come poter guidare la prima attraverso la seconda (indirettamente, attraverso la modellazione del terreno).
OpenLab BioDesArt Lecce per il quale Bruno Demasi, altro membro di Co-de-iT, ha sviluppato una Delta printer con estrusore per argilla
Experimental 3D printing in cui Tommaso Casucci e Michele Semeghini hanno programmato direttamente il G-Code di una PowerWasp, controllando poi il risultato finale dovuto alla capacità di organizzarsi del materiale del filamento.
Bio-Logic workshop - immagine tratta da qui.
Com'è nata la collaborazione con Haier Group?
Ci hanno contattato loro avendo visto i nostri lavori precedenti. Vorrei avere una storia molto più articolata e romanzesca ma non c’è molto di più da raccontare.
Tratti sinuosi e contrasti cromatici. Ci parli della progettazione del climatizzatore stampato in 3D.
Il design doveva essere mirato ad avere anzitutto un forte impatto estetico: questo tipo di climatizzatori da interno è necessariamente in vista che sia in funzione o meno e quindi l’estetica dell’oggetto gioca comunque un ruolo decisamente importante. Abbiamo anche lavorato in tempi molto stretti perciò molte cose che avremmo voluto implementare legate ad un ripensamento radicale del rapporto forma/funzione/esperienza utente sfruttando al massimo la tecnologia di produzione come veicolo di progetto (ovvero comprendere cosa unicamente questa tecnologia di produzione può fare e che non è possibile fare altrimenti) sono rimaste per il momento nel metaforico cassetto (ovvero nell’hard disk). Di sicuro in progetti futuri cercheremo di sviluppare quanto abbiamo pensato ma non abbiamo potuto fare per questo progetto.
Quali sono stati gli aspetti più complicati che vi si sono prospettati in fase di progettazione?
Lavorare in tempi stretti complica sempre le cose, quindi il fattore tempo è stato quello che ha pesato maggiormente. Oltre a questo, logisticamente parlando abbiamo messo alla prova le possibilità del sistema di collaborazione on-line che ci è stato abituale fino a questo momento (dato che i membri del team sono geograficamente sparsi un po’ per tutta Italia), evidenziandone anche alcuni limiti per determinati tipi di lavoro; per essere più preciso quando sono necessari feedback rapidi e multipli la compresenza fisica in un unico ambiente di lavoro è ancora insostituibile. Tecnicamente parlando, il controllo della geometria, dei dettagli e la contemporanea sistematizzazione parametrica del tutto ci hanno portato a sviluppare alcune strategie ad-hoc. La cosa più difficile di tutte però è stata incanalare la tecnica in una estetica coerente e assonante con le richieste della committenza e che rispettasse vincoli molto stringenti in termini di produzione e user experience. A nostro avviso, senza fondazioni teoriche alle spalle, una grande padronanza di strumenti e tecnica ma soprattutto senza una sensibilità che aiuti a navigare in questo medium complesso non è possibile creare qualcosa che riteniamo significativo.
Oltre ad essere uno dei fondatori di Co-de-iT, dal 2008 è anche docente titolare del corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 presso l'università di Bologna. Qual'è la sua opinione riguardo all'impiego delle tecnologie di prototipazione rapida in ambito universitario?
Occorre al più presto comprendere che le tecnologie sono medium (e uso la parola latina nel duplice significato di mezzo e luogo) che vanno esplorati, navigati, e questo implica (specie in tutti gli approcci di tipo generativo-computazionale) l’adozione di paradigmi differenti da quelli abituali, i quali si sono consolidati su un contesto teorico/critico/tecnologico ormai obsoleto. Ovvero non ha molto senso ostinarsi ad incanalare a tutti i costi le nuove tecnologie come semplici strumenti e utilizzarli con approcci, strategie e fondazioni teoriche non adatte a comprenderle.
Le tecnologie di prototipazione rapida sono un sottoinsieme di un più ampio range di tecnologie per la fabbricazione a controllo numerico, io preferisco riferirmi a quel range e con un’ottica orientata non solo alla riproduzione esatta di un modello 3D ma alla programmazione diretta di macchine e materia. Se si guarda al panorama mondiale da questo punto di vista, alcuni istituti quali MIT, IaaC, Bartlett, AA, ETH, ICD-ITKE, RMIT (non vorrei dimenticare qualcuno ma cito quelli che mi vengono in mente per primi) stanno svolgendo eccellenti ricerche in questo senso, ma proprio perché partono dal presupposto che una tecnologia è anzitutto una macchina in senso astratto, ovvero una serie di operazioni. Non ha molto senso in termini di ricerca e progettazione riprodurre modelli in 3D solo per avere cloni solidi e inerti di forme (specie se poi il processo di produzione non aggiunge nessuna qualità ad esse). Non ha senso dotarsi di determinate attrezzature solo per utilizzarle come farebbe un service, ma ancor meno senso ha ignorare l’enorme importanza di riconciliare teoria, tecnica, tecnologia in una forma di sensibilità nell’agire progettuale. C’è un’altra parola chiave da includere che viene fin troppo spesso fraintesa: ecologia. L’ecologia è un insieme di relazioni dinamiche in un sistema complesso, e includere le tecnologie di prototipazione consente di operare all’interno dell’ecologia del progetto a scale finora del tutto ignorate, per esempio considerare l’organizzazione alla microscala di un sistema materiale e come questo influenza economie di produzione e utilizzo/ciclo di vita, performance, etc.
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