Se scoprire quanto la stampa 3D stia rivoluzionando settori come la prototipazione, la produzione di oggetti e le creazioni artistiche non fosse abbastanza stupefacente, le ultime novità arrivano dalla biologia. O meglio dalla biostampa.
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Mentre la stampa 3D di base utilizza materiali termoplastici che vanno a realizzare un oggetto fisico sulla base di un modello 3D digitale, la stampa 3D biologica segue un iter del tutto simile ma invece di utilizzare polimeri plastici depone cellule vive in matrici biologiche fino a creare veri e propri tessuti vitali, ripropondendone l’architettura e potenzialmente la sua funzione.
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Organovo, la pionieristica società di stampa 3D biologica, ha annunciato ultimamente di aver usato la sua tecnologia per testare un farmaco, precedentemente dimostratosi tossico a livello epatico. A differenza degli approcci passati però, Organovo ha utilizzato un tessuto epatico umano biostampato che ha permesso di rilevare la tossicità del composto lì dove persino studi preclinici standard sugli animali e prove in vitro avevano fallito.
Secondo Keith Murphy, presidente di Organovo, i recenti risultati hanno mostrato come l'attività metabolica e la risposta tossicologica del “fegato” stampato sono paragonabili a quelle del tessuto nativo aprendo incredibili scenari futuri. Grazie a questi “neotessuti” sarà forse possibile studiare l'effetto di droghe e altri farmaci? Se questi test si dimostrano davvero capaci di predire effetti farmacologici impossibili da rilevare con i metodi classici, quali rivoluzioni sono in arrivo nel campo della sperimentazione farmacologica, nelle sue tempistiche e nelle spese associate? A detta di Organovo, se i risultati continuano a mostrarsi positivi, già entro la fine dell'anno i tessuti realizzati mediante biostampa 3D potrebbero essere commercializzati e il loro utilizzo diventare esponenziale, con conseguenze che finirebbero per interessare tutti noi.
Il 10 aprile, inoltre, la società americana ha pubblicato i risultati di studi effettuati su tessuti biostampati del seno grazie alla sua Novogen MMX Bioprinter. Tali ricerche hanno permesso di effettuare valutazioni specifiche di risposta ai farmaci in modelli di cancro al seno che fin'ora si erano dimostrati impossibili al di fuori di modelli in vivo.
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Se guardiamo alle problematiche collegate alla sperimentazione, tanto animale quanto umana, ci si rende conto che è in arrivo un'ondata di novità capaci di scardinare i luoghi comuni accademici e aprire le porte su campi applicativi completamente nuovi. Si parla non solo di tessuti stampati in 3D, ma anche di interi organi e il pensiero non può che andare verso il campo dei trapianti e della chirurgia, interessando persino la prostetica lì dove per ora, come nel caso dell'italiana Open BioMedical Foundation (OBM), si usano e si diffondono soluzioni via via più economiche e aperte all'innovazione grazie ai nuovi strumenti produttivi quali appunto le stampanti 3D. Viviamo in un tempo in cui accanto agli approcci tradizionali si affiancano punti di vista e percorsi i cui risultati li scopriremo non più nella nostra fantasia o nei film di fantascienza, ma direttamente sulla nostra pelle. Magari stampata in 3D.
Valentino Megale - Open BioMedical Foundation
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